Kabul Cafè

Sussurri e grida dall'Afghanistan

Archivi Categorie: 2007

Un Natale afghano

La strillona in burka

Kabul. Quando ero ragazzo e cominciavo questo lavoro, il mito era lo strillone. Tutti sognavamo di trovare una notizia che potesse essere urlata per strada da chi diffondeva il giornale. Da noi ormai certi meccanismi appartengono alla preistoria, adesso si urla in televisione e i giornali si propagandano sul web. In Afghanistan ancora siamo a quei tempi ed ecco la più strana, affascinante “strillona” che mi sia mai capitato di incontrare. Uso la sua immagine per urlare che “oggi non ci sono notizie”. Cioè nessuna bomba, nessun attentato, nessun morto ammazzato (forse). E mi rendo conto che è l’aspetto più drammatico di un Paese in crisi. Il fatto che una giornata “normale” faccia, appunto, notizia. 7 dicembre 2007

Lo scugnizzo di Kabul

Kabul – Anche oggi aveva quella scatola di gomme americane, forse sempre le stesse: sono il suo patrimonio e una maniera di dare dignità al suo “mestiere” di piccolo mendicante. L’ho conosciuto otto mesi fa davanti all’unico centro commerciale della capitale e mi ha subito conquistato. Poi ho saputo, ricordate?, che si chiama Jovid, il piccolo Giove, e il cuore mi ha detto subito di adottarlo. Persa di vista Shatia, la mia prima stupenda “figlia” afghana, ho deciso d’istinto di curarmi di lui, questo scugnizzo dalla faccia triste. Ma l’ultima volta che sono tornato a Kabul non l’ho trovato. Mi sono preoccupato perchè questo non è un posto qualsiasi e i bambini spariscono ogni giorno. Ho pregato allora Shafique di ritrovarmelo e oggi la grande sorpresa. Me lo ha portato in albergo. E’ stato emozionante. Lui sa che io sono il suo “padre italiano”, ha imparato solo due parole ma fondamentali: ciao e grazie. L’ho ricoperto di abbracci, di cioccolatini e naturalmente gli ho dato anche un sostanzioso bakshish (la mancia) da portare a casa, per far vedere che è bravo. Jovid ha sette anni, altrettanti fratelli e il padre non lavora: e alla famiglia devono pensarci tutti, anche quelli che avrebbero un’età solo per giocare. Fra tre mesi andrà a scuola. Quando Shafique gli ha tradotto “scuola” ha fatto un sorriso larghissimo, è la sua speranza. Adesso so dove abita, non lo perdo più.  Tornare a Kabul d’ora in poi avrà un senso anche solo per ritrovare lui. E forse allora capirete perchè amiamo tutti questa terra così difficile. 5 dicembre 2007